Il commiato di Lionel Richie e il volto complesso del festival
Perugia – L’edizione di Umbria Jazz 2025 resterà a lungo impressa nella memoria di chi ha avuto il privilegio di viverla, non solo per il concerto di Lionel Richie, il suo tour mondiale di commiato dal pubblico, ma anche per le contraddizioni che ormai caratterizzano uno dei festival più storici e amati d’Italia.
Il concerto di Richie, con la sua voce inconfondibile e il suo carisma senza tempo, ha rappresentato un momento di grande intensità emotiva. Un vero e proprio addio, un gesto di gratitudine verso il pubblico che lo ha seguito per decenni. La sua interpretazione di classici come “Hello” e “All Night Long” ha fatto vibrare le piazze di Perugia, lasciando i fan con il cuore colmo di nostalgia e riconoscenza. Personalmente ho sentito il peso di un momento storico, magnificamente presentato dall’inossidabile Nick the Nightfly di Radio Monte Carlo, consapevole di aver assistito a un capitolo importante della musica mondiale.
Tuttavia, non si può ignorare che anche Umbria Jazz, nel corso degli anni, ha subito un’evoluzione che rischia di allontanarlo dalla sua identità originaria. Se un tempo il festival era un punto di riferimento per il jazz autentico, oggi si assiste a un’offerta sempre più contaminata da generi diversi, spesso lontani dalle radici del vero jazz. La presenza di artisti di altri generi musicali, più commerciali o di tendenza, ha portato a un ibrido che, se da un lato può attrarre un pubblico più vasto, dall’altro rischia di svuotare di senso la sua essenza originaria.
E questa tendenza non è sfuggita nemmeno a me, che da anni seguo con passione questa manifestazione. È un dato di fatto: il festival si sta trasformando in un grande contenitore di musica, dove il jazz autentico spesso si perde tra le molteplici proposte. Un fenomeno che, purtroppo, si riscontra anche in altre grandi manifestazioni culturali, vittime dell’overtourism e della ricerca di numeri e audience a ogni costo.
Perché, alla fine, il vero problema non è tanto la varietà di generi, quanto la perdita di identità e di qualità. Umbria Jazz, con la sua storia e il suo patrimonio, dovrebbe essere un luogo di incontro per appassionati di jazz, un punto di riferimento per la cultura autentica. E invece, talvolta, sembra più un grande show commerciale, dove il jazz si confonde tra le luci e le mode del momento.
Nonostante tutto, il concerto di Richie ha rappresentato un momento di pura emozione, un ricordo che porterò con me. Ma mi chiedo: quanto ancora Umbria Jazz potrà mantenere la sua anima autentica senza perdere il suo senso più profondo?Forse lontano dalle logiche di mercato, trovo che la vera sfida dell’Umbria Jazz sarebbe quella di ritrovare se stesso, di riscoprire il jazz come linguaggio universale e autentico, senza lasciarsi sopraffare dal turismo di massa e dalle mode del momento. Solo così potrebbe continuare a essere un punto di riferimento, non solo per i nostalgici, ma per le future generazioni di appassionati.