Glamour, emozione e un’occasione speciale per “UN ANNO DI SCUOLA”
La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, arrivata alla sua 82ª edizione, è tornata con il suo charme intramontabile, trasformando il Lido in una passerella di stile, stelle internazionali e anteprime che hanno catturato l’attenzione di tutto il mondo. Il red carpet ha brillato come ogni anno: abiti da sogno e un’energia contagiosa tra registi e attori che si sono mescolati nei palchi all’aperto sempre pronti a farsi ammirare.
La manifestazione, secondo tutta la critica, ha mantenuto la sua funzione di preludio alle grandi opere della stagione, con una selezione che deve e vuole sempre celebrare sia le nuove voci sia le firme consolidate del cinema contemporaneo con un focus globale tra arte, cultura e intrattenimento di alto livello.
In particolare, tra i titoli in cartellone, ho scelto la visione di UN ANNO DI SCUOLA che ha concorso nella sezione Orizzonti. Qui la regista triestina Laura Samani è al suo secondo lungometraggio, uno spaccato sull’identità e la capacità di empatia tra adolescenti con una visione intensa e poetica che esplora temi di famiglia, crescita e responsabilità. La regia di Samani offre una prospettiva intima e coinvolgente, accompagnata da una fotografia che valorizza ogni gesto e ogni silenzio, trasformando la dimensione privata in un racconto universale.
Dopo l’esordio con Piccolo Corpo (2021), vincitore del David di Donatello per il Miglior Esordio alla regia, Laura Samani ha scelto la leggerezza dell’adolescenza per continuare a interrogarsi sull’identità femminile e sulle pressioni sociali che la plasmano, assicurando: «Non un film contro i giovani maschi». Empatico, bello e fresco il cast. Gli interpreti, oltre alla brava diciottenne svedese Stella Wendick, sono i giovani attori e promesse del cinema italiano Pietro Giustolisi, Samuel Volturno e il triestino Giacomo Covi, cui è andato addirittura il prestigioso riconoscimento per la miglior interpretazione maschile della Mostra e che a premio ricevuto ha dichiarato: “Questo premio significa molto per me, ma per ora resto al lavoro al bar, poi chissà”.
Alla fine della proiezione, ho osservato e intuito il valore del pubblico veneziano, trascinato dalle emozioni, tra momenti di tenerezza e tensione e tra le eleganti scelte visive e musicali che hanno accompagnato la proiezione. Il festival continua a essere, dunque, non solo una vetrina di cinema, ma anche un evento sociale e culturale, dove incontri, premi e discussioni alimentano il dibattito sull’oggi del cinema italiano e internazionale.
Un anno di scuola: la trama
Fred ha diciotto anni, è svedese e si trasferisce a Trieste per l’ultimo anno di scuola. Non conosce bene l’italiano e si ritrova in una classe di soli ragazzi. All’inizio si sente spaesata, ma è sveglia, aperta e tenace: piano piano entra nel gruppo di tre compagni molto uniti tra loro. Le dinamiche si complicano quando, da semplice amicizia, iniziano a emergere sentimenti più profondi — ma non sempre corrisposti — e Fred si trova a dover scegliere tra il restare fedele a se stessa o adattarsi alle regole implicite di un mondo maschile.
La regista Laura Samani racconta tutto questo con uno sguardo personale: non tanto per quello che accade, ma per il modo in cui lo racconta. Torna con la mente alla sua adolescenza, in una Trieste sospesa nel 2007, poco prima che i social cambiassero tutto. Il film esplora le fragilità dei ragazzi e la forza silenziosa di una ragazza che cerca solo di trovare il suo spazio senza doversi piegare.
La critica sostiene in coro: non c’è un cattivo, non c’è una vittima: solo adolescenti che si muovono maldestri in un mondo di emozioni nuove. E Fred, che prova a restare se stessa mentre gli altri cercano di capire chi sono.
A Venezia l’autrice racconta di aver concepito il progetto durante il lockdown, rileggendo l’omonimo romanzo di Gianni Stuparich da cui il film è tratto. “Non avevamo neanche finito di girare Piccolo Corpo che già avevo capito di voler fare questo film”, dice la regista, che da adolescente aveva occupato quegli stessi banchi di scuola descritti nel libro e poi nella pellicola. In questo senso Samani parla di un film metanarrativo.
Dalla regia: “Il mio legame autobiografico con la storia non risiede tanto nelle vicende, quanto nella prospettiva, nell’epoca e nei luoghi. La scelta di ambientare la storia nel 2007 non è casuale, rappresenta l’ultimo anno prima della diffusione dei social in Italia, momento di confine tra due epoche di comunicazione, e anche l’anno che identifica meglio l’esperienza adolescenziale tra fragilità maschile e resistenza femminile. Un anno di scuola è fondamentalmente un film sull’identità, la costruzione delle relazioni e sui corpi. Ma altrettanto importante era rifiutare l’idea di demonizzare i ragazzi: Antero, Pasini e Mitis non sono antagonisti di Fred, ma adolescenti che si approcciano alla propria emotività. Non volevamo fare uno di quei film in cui esci arrabbiato con i maschi. Il tentativo era di mantenere empatia con tutti, ma cambiare punto di vista: all’inizio guardiamo Fred attraverso i loro occhi, alla fine siamo noi a guardare i ragazzi attraverso i suoi. In questo modo UN ANNO DI SCUOLA mantiene un equilibrio tra complicità e conflitto, restituendo tanto la vitalità quanto la fragilità dei protagonisti”.