L’attore Giancarlo Giannini non si discute, come altre figure di formidabili attori che hanno fatto grande il cinema italiano: Gassmann, Mastroianni, Tognazzi, Volonté solo per citarne alcuni. Basta dare un’occhiata al suo curriculum e con chi ha lavorato, ai suoi 5 David di Donatello, ai suoi 5 Nastri d’argento, alle nomination agli Oscar.
Quello che non mi è piaciuto lo scorso novembre al Filarmonico di Verona, in occasione del primo incontro della rassegna invernale IDEM quest’anno sull’ESPRESSIONE POETICA, è quel pizzico di supponenza, di arroganza con cui ha voluto condire la sua pur speciale performance serale di lettore e attore.
Superbe le sue letture, “per cui sono stato chiamato” mentendo sapendo di mentire, sfacciato ma vincente il suo metateatro (dopo i primi minuti imbarazzanti, fatti di silenzi celentaniani e di caotiche ricerche del foglio giusto da leggere e qualche mugolio o risolino della platea da incassare senza alcun fastidio).
Teatro nel teatro, alla fine la formula pare sia piaciuta al pubblico che attendeva trepidante la declamazione di qualche tratto di poesia, mentre Giancarlo Giannini scherzava con la presentatrice interrogandola, mettendola spesso in imbarazzo, ora sfuggente alle domande pianificate, ora ribelle avvezzo all’improvvisazione.
“Ah… mi dispiace. Ma io so’ io… e voi non siete un cazzo!” ricordava la celebre espressione di Sor Marchese del Grillo, quel suo monito finale dal palco a chiosa dell’interessante digressione sulla sua presenza serale a conferirgli dall’alto ogni tipo di autorevolezza consacrata dall’importanza del nome. Arringare il pubblico con l’arroganza dell’unica etimologia in suo possesso, “Stilus”, è stato un colpo basso che si è ritorto più sull’attore che sull’amor proprio della gente in sala.
“Molta confusione, forse troppa. Come quest’estate al Teatro Romano. C’è l’ostinazione degli organizzatori a invitare grandissimi attori per interrogarli su temi di letteratura classica. Come fossero dei professori” bisbigliava qualcuno seduto dietro di me. Lo spettatore non aveva tutti i torti, ma Giannini è stato grande nel sottrarsi a una scaletta di domande un po’ scolastiche, facendo perdere completamento il controllo alla conduttrice: partiti da Omero, Dante e Shakespeare nella poesia, a un certo punto, veleggiando in lungo e in largo, si è approdati ai provenzali… poi mi son perso… e Il naufragar m’è dolce in questo mare.
Ma chi sarebbe riuscito ad arginare un Giannini che di zoppicante aveva solo una gamba malandata per una caduta a teatro (maestro non scherziamo troppo sull’altra botta in testa, ci sembrava che quella funzionasse proprio benissimo)? Chi avrebbe osato contraddire un lettore dalla voce impetuosa, travolgente, che con disinvoltura affrontava spazi temporali enormi, trasportandoci da Catullo a Baudelaire, da Petrarca a Leopardi? Somma l’interpretazione di parte del XXVI canto dell’Inferno di Dante Alighieri. Tuona ancora al Filarmonico il gagliardo versetto:
Considerate la vostra semenza,
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
Sarà poi così vero che, come sosteneva Giancarlo Giannini, la poesia non va’ recitata, va’ semplicemente letta? Sì, ma per favore “Non come fanno certi professori con A Silvia di Leopardi. Silvia è già morta, non facciamola morire ancora” sentenzia l’attore.
Tuttavia, è innegabile che l’aver assaporato la lettura di un interprete come Giancarlo Giannini, anche solo per un paio d’ore a teatro, è valsa davvero la pazienza e l’amore del suo pubblico, del pubblico intero.
Il finale è a sorpresa, svincolato dalla “Stessa sostanza dei sogni” programma serale. Un fuori tema doveroso. Un tributo al Giannini doppiatore, alla scuola italiana di doppiaggio (migliore al mondo), al cinema italiano e al ricordo del fresco Oscar alla carriera dell’amica regista Lina Wertmuller.
Leave a Reply