cz Professor Galimberti: la scrittura, e non solo quella professionale, cambia e si evolve velocemente. Quali sono gli errori ricorrenti negli scritti che riceve?
UG: Platone diceva che l’oralità è meglio della scrittura. Che quando uno scrive abbandona le cose che ha detto alla carta, ma le abbandona proprio. Anch’io quando scrivo un libro lo abbandono il mio pensiero nel libro, non lo porto con me.
Quindi è uno scarto… per non dire parole più pesanti… a proposito. L’oralità invece ti comporta la memoria, la tradizione è passata per vie orali e quindi è solo un prosieguo di memoria. Nella cultura c’è poi un deposito di idee, va bene. Poi siccome in Italia non legge nessuno…
Allora scrivono tutti, però, scrivono tutti nella speranza di essere pubblicati. Perché altrimenti la loro scrittura si svaluta ai loro occhi, perché diventa un puro evento biografico. Ma ogni scrittura è un evento biografico.
Il problema è che non devono aspirare necessariamente alla pubblicazione. In Italia il 70% dei libri che si editano non vendono neanche una copia. E perché questo… perché c’è un bisogno di esprimersi e non potendo più esprimersi vis-à-vis, perché ormai siamo nella realtà virtuale, allora ci si scrive.
Può anche essere una ricerca di sé, sotto questo profilo non è male la scrittura. Se però viene assunta come “Io qui mi parlo” … “MI PARLO” … se invece scrivo per parlare ad altri perché il libro mi venga pubblicato allora è chiaro che poi c’è la delusione.
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