A Udine si tiene ogni anno la più ricca rassegna di cinema dell’estremo oriente in Europa, ininterrottamente dal 1999. Il Far East Film Festival, FEFF per gli habitué, si è svolto quest’anno dal 26 aprile al 4 maggio. Come sempre ricco il programma con film e documentari provenienti da 11 paesi. In testa la Corea del Sud con 12 film, poi Giappone con 9 film, Cina e Hong Kong con 8 e a seguire altre pellicole da Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Taiwan, Thailandia, Vietnam. Una vera abbuffata per gli appassionati, e non, di cinema orientale. Molti anche gli eventi collaterali, i contest, i concorsi, gli intrattenimenti organizzati per creare quelle giuste contaminazioni tra cultura occidentale e orientale che trovano la loro più opportuna collocazione nella città di Udine: nuova porta d’oriente nonché crocevia culturale della Via della Seta.
Quest’anno ha trionfato Hong Kong con Still Human di Oliver Chen. I film orientali sono spesso film non semplici da interpretare. Le differenze culturali e di approccio alla vita si notano eccome, ma sono un ottimo stimolo per combattere provincialismo, luoghi comuni e avvicinare i pensieri di occidente e oriente. E la cultura viene spesso in nostro soccorso, ci accarezza, ci fa ragionare. Accorciare le distanze tra questi due mondi passa anche dalla visione dei film del festival, film popolari e di successo in Asia, pellicole che non vedremmo altrimenti in Europa.
Quest’anno a me è toccato… mi scuso e mi correggo… la mia scelta è andata su queste proiezioni:
Unstoppable: un film d’azione coreano
Far arrabbiare un ex gangster che ha trovato la pace lavorando in un mercato del pesce non è una buona mossa. Se poi ha la stazza di Ma Dong-seok e picchia duro come lui, farlo innervosire è sconsigliabile. Purtroppo una gang di spietati gangster non lo sa e gli rapisce la moglie chiedendo un riscatto. Tra botte da orbi e schegge comiche, un action thriller dall’impatto adrenalinico.
Divertente e ben fatto. Tante botte, a tratti in pieno stile Bruce Lee, niente armi se non qualche coltello e inverosimiglianza dilagante alla 007.
Three Husbands: un film satirico sociale di Hong Kong
Profondamente satirico e fortemente inquietante, un film dove sesso e critica sociale fanno rima, a conferma dello sguardo ribelle e visionario di Fruit Chan. Una prostituta esercita il mestiere su una barca attraccata nel porto di Hong Kong. Con una libido sovrumana e tre mariti amorevoli, si dedica ostinatamente al suo lavoro, ma con i tre uomini a suo carico gli affari non vanno bene come prima.
Un macigno, uno di quei film interminabili che non avresti mai voluto affrontare. Tuttavia, la sensualissima attrice protagonista Chloe Maayan, intervenuta personalmente alla proiezione, è talmente brava da aver strappato minuti di applausi, compresi i miei.
BNK48: GIRLS DON’T CRY: un documentario tailandese (fuori competizione) sul pop idol asiatico
Il gruppo femminile AKB48 è stato un fenomeno culturale in Giappone dall’inizio del decennio. Il BNK48 è il suo gruppo femminile omologo in Thailandia e il terzo a livello internazionale. Ricco di 50 componenti, il BNK48 sta mettendo sottosopra il paese, nell’usuale eccitazione e fanatismo che caratterizza la fondazione del fandom degli idol asiatici. Solo le componenti più popolari sono ammesse nel cuore del gruppo: le 16 “sebatsus” che incidono realmente le canzoni. Il regista cattura interviste rivelatrici con le componenti della band e sull’immensa pressione cui si sottopongono per diventare tanto straordinarie da raggiungere il top. Per ottenere il massimo dal gruppo, le ragazze devono competere contro le loro migliori amiche. E come accade sempre, non è necessariamente il talento che ti spinge avanti piuttosto quanto debba essere profonda la ricaduta che una ha sui social media per diventare potente come “influencer”. BNK48: Girls Don’t Cry mette in evidenza la cultura idol i suoi molti limiti e pericoli per la società.
L’interesse è sociale. Le ragazze vogliono emergere dalla massa e ce la mettono davvero tutta. Le componenti del gruppo sono imprigionate in una gara di popolarità senza fine. Il problema sta proprio qui: la confusione tra popolarità, fama e celebrità. La popolarità è un concetto garantito dalla simpatia collettiva, dal consenso del popolo. Come nel caso di queste ragazze, visto il loro fenomeno pop assolutamente locale, tailandese. Pure fama e celebrità assumono alla fine una dimensione effimera, ma di sicuro la popolarità momentanea di queste giovani ragazze non le porterà mai ad essere famose né tantomeno celebri se non per uno breve spazio temporale sostenuto dai media, dai social e dai loro followers. Dopo questa visione al FEFF, non mi lamenterò mai più del nostrano programma “AMICI”.
Dopo i film, perché non partecipare a un evento? Sceglierne uno tra i tantissimi proposti, non è stato così semplice. Alla fine, però, tra la costruzione dell’aquilone giapponese, il seminario di tecniche Bonsai, le danze filippine e il circo cinese ho individuato nel corso base di poetica Haiku il mio spazio ideale.
Gli haiku sono brevi poesie che usano linguaggi sensoriali per catturare un sentimento o un’immagine. Sono spesso ispirati da elementi naturali, un momento di bellezza o un’esperienza emozionante.
Il corso, tenuto dalla bravissima Gaia Rossella Sain dell’associazione Kitsune, prevedeva una spiegazione frontale, per conoscere questa antica forma di poesia, le principali tecniche stilistiche e i valori estetici, e un mini laboratorio finale di scrittura creativa.
Cosa è un Haiku?
Lo Haiku è un attimo di vita che diventa poesia. Vediamone uno celebre del giapponese Rinka Ōno:
I capelli del bambino
mossi dal vento –
l’arrivo di maggio
Cosa NON è un Haiku
Non è un aforisma, un giudizio, un pensiero.
Prima definizione di Haiku:
3 versi per totale di 17 sillabe. La poesia deve trovare collocazione nella stagione in cui si trova il poeta. L’elemento stagionale è il KIGO (cuore dell’Haiku). Il componimento poetico giapponese si concretizza nell’usuale schema sillabico 5-7-5 (schema metrico fisso dei tre versi non rimati). Deve essere presente anche uno stacco, il KIREJI, atto a creare una giustapposizione d’immagine e una cesura. Il segno “–“ è la pausa che divide a metà l’Haiku.
L’italiano è una lingua che si presta molto bene all’Haiku. Ma attenzione, ci dice Gaia, a non fare confusione tra conteggio ortografico e conteggio metrico, che tiene conto anche del suono delle parole.
Un paio di esempi italiani di Haiku:
già sta ululando
il cane del vicino –
piove sull’uva
tra foglie secche
sfuma il gioco d’un gatto –
fuma la pipa
Il format delle 17 sillabe è caro alla letteratura giapponese già nella raccolta di poesie MANYYOSHU, compilata nella seconda metà del VIII secolo. Attualmente i giapponesi lo usano non solo in poesia, ma anche negli spot pubblicitari, nel marketing, nei titoli sui giornali.
Non è per niente facile creare un buon Haiku ed è facile scadere nella banalità pur rispettando le regole base per realizzarlo. In questo corso ne abbiamo letti davvero di bellissimi. Vere poesie in tre sole righe.
Per maggiori informazioni: associazione Kitsune
gaiasain@yahoo.it gaiasrossellasain.com
Ogni giornata del FEFF, già all’interno dello stesso Teatro Nuovo o in giro per la città, è accompagnata dall’ospitalità friulana e da ottime degustazioni di buon cibo e vino locali. Passeggiando per Udine c’è sempre un bel clima di festa. E tuttavia, da piazza Garibaldi al Palazzo Comunale, non si eviti di soffermarsi in raccoglimento davanti agli striscioni gialli riportanti la scritta: “Verità per Giulio Regeni”. FEFF UP YOUR LIFE cita lo slogan promozionale del Festival e speriamo che questo evento dia risonanza anche a un ricordo la cui eco non deve perdere d’intensità. Il tragico omicidio di Giulio Regeni non ha ancora risposta, non c’è ancora un perché e un colpevole. Che l’attenzione sulla vicenda rimanga alta e che le indagini di Italia ed Egitto portino alla verità.
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