Le molte task force create dal governo sembrano povere di persone che vivono le cose di tutti i giorni, ma invitano a interessanti spunti filosofici per interpretarne le sentenze. Vogliamo parlare delle astrusità formali che infarciscono i vari decreti-legge, le circolari, i DPCM? Che cosa significa “permesso di visita ai congiunti”, che cosa s’intende per “affetto stabile”, chi può stabilire che un terzista di una filiera considerata essenziale non ne sia essenziale esso stesso invece di venirne escluso, perché usare impropriamente il termine smart working quando si tratta del meno complesso, corretto e italianissimo telelavoro? In queste settimane di reclusione per contagio il legislatore ci ha indotto a innumerevoli dubbi amletici e obbligato alle più fantasiose interpretazioni personali, prima di ricorrere a successive circolari esplicative (spesso ancor più caotiche). Il business writer che c’è in me soffre davanti al legiferare d’urgenza che cade addirittura sulla scuola, sì proprio sulla scuola e sui congiuntivi mancati: “Qualora le istituzioni scolastiche del sistema nazionale d’istruzione non possono effettuare almeno 200 giorni di lezione, a seguito delle misure di contenimento del COVID-19, l’anno scolastico 2019-2020 conserva comunque validità…” (art. 32, decreto-legge n. 9 del 2 marzo). Il senso della disposizione resta chiaro, ma il Parlamento dovrebbe fare più attenzione ai modi verbali.
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